Daniele Gianotti
Battaglia perduta

Ho tentato nel mio piccolo, già da qualche anno (ad es. nelle lezioni di teologia) di ingaggiare una mini-battaglia contro l’espressione, usata per i defunti, “N. è ‘tornato alla casa del Padre’”, che ritengo impropria e fuorviante (nel seguito del post, per chi volesse saperle, spiego brevemente le mie ragioni).
Ma dichiaro la resa, non combatterò più (pur continuando a ritenere sbagliato questo linguaggio): anche la Radio Vaticana lo usa oggi per il beato Giovanni Paolo II (cf. qui!). Battaglia perduta.
“Ritorno” alla “Casa del Padre”?
È diventato ormai abituale, per indicare la morte di un credente, dire che “N. è tornato/a alla Casa del Padre”. Si tratta, però, di un’espressione scorretta e fuorviante. Se con “casa del Padre” indichiamo ciò che il linguaggio cristiano designa come “vita eterna”, o comunque la vita in Dio del credente, al di là della morte, allora è chiaro che non c’è nessun “ritorno” ma, se mai, “ingresso”, “arrivo”: per dire che questa condizione incomincia appunto con la morte. È certo vero che “veniamo da Dio” e andiamo verso di Lui: ma il “venire da Dio” significa, nel linguaggio cristiano, che siamo sue creature, chiamate a essere suoi figli, in Cristo: e questa condizione incomincia con la nostra vita in questo mondo, e con il battesimo, per quanto riguarda l’essere figli di Dio. Non si dà una situazione previa (una “preesistenza”), rispetto alla vita che inizia per noi in questa nostra condizione terrena e con la morte sfocia, a Dio piacendo, nella sua beata eternità; non c’è nessuna “casa del Padre”, nella quale avremmo soggiornato per un po’, prima di venire a risiedere in questo mondo, per poi farvi “ritorno”. La “casa del Padre” intesa come Paradiso non è neppure un “ritorno” al perduto “paradiso terrestre”, che apparteneva pur sempre a questa nostra esistenza terrena, e rispetto al quale la vita eterna è molto di più. Si può dire, certo, che nel “pensiero di Dio” siamo voluti e amati dall’eternità; ma ciò vuol anche dire che non ne siamo mai “venuti via”, né vi “torniamo”: in quel pensiero d’amore ci siamo sempre. E, naturalmente, non si può richiamare qui ciò che dice il vangelo di Giovanni a proposito di Gesù (ad es. a 13, 3: «Gesù, sapendo… che era venuto da Dio e a Dio ritornava…»), perché questo linguaggio riguarda la condizione unica e singolare del Figlio di Dio: lui, sì, appunto, «venuto dal Padre» e che «torna» a Lui nel passaggio pasquale. Ma la condizione del Figlio, in quanto esistente dall’eternità «presso il Padre» (cf. Gv 1, 1) e venuto in questo mondo, è esclusivamente sua, e solo di Lui si può dire con verità che è “tornato” al Padre — dal quale, peraltro, non si è mai “separato”. Per tutti noi, non c’è nessun “ritorno” ma solo, se mi si permette l’espressione un po’ sbarazzina, un viaggio di sola andata.