Auguro a tutti buona Pasqua, riproponendo qui di seguito la riflessione che ho scritto su invito di Settimana (cf. n. 12-13/2013) in vista delle feste pasquali.
Esperienze della Pasqua
A pensarci bene, proprio quando si tratta di dire le cose più decisive, quelle senza le quali il cristiano non potrebbe vivere – e la fede pasquale è senza dubbio tra queste, ne è anzi la prima –, il linguaggio della fede ricorre a parole e ad immagini semplici, che rimandano a esperienze elementari: quasi che il linguaggio più complesso, anziché onorare la fede alla quale dovrebbe dare un’espressione, finisca per oscurarla e renderla così più lontana e inaccessibile. Una certa abitudine ci ha portato a non vedere più la radicale semplicità di certi termini, come, per fare un esempio, quello che indica la risurrezione di Cristo a partire dall’immagine del destarsi dal sonno, o dell’alzarsi: ma in questa semplicità è possibile afferrare, per quanto possibile nelle nostre condizioni, ciò che vi è di più vitale per il credente.
Il linguaggio biblico abbonda di queste espressioni, e anche in questo esso può offrirci ancora modelli di linguaggio ammirevoli, anche di fronte al compito permanente di annunciare Cristo morto e risorto all’uomo di oggi.
Lungo la via
Nel vangelo di Luca, che accompagna la liturgia festiva di questo anno (e che, come si sa, va letto con il complemento degli Atti degli apostoli), gli studiosi hanno osservato da molto tempo la rilevanza del tema della “via”: non sarebbe sbagliato, alla luce del terzo vangelo, leggere nel mistero pasquale il proseguimento, anzi il compimento, di un itinerario che si rivela apparentemente incompiuto.
Gesù è mostrato itinerante, del resto, fin dall’inizio del vangelo (itinerante, possiamo dire, già dal momento in cui Maria di Nazaret si mette in viaggio sui monti della Giudea per andare a visitare Elisabetta: cf. Lc 2,39); che il viaggio di Gesù possa incontrare l’opposizione anche violenta, i tentativi di bloccarlo, è detto già nella scena inaugurale del suo ministero (cf. 4,28-30); che il suo “esodo” abbia come meta il mistero pasquale è ben evidente nel racconto lucano della trasfigurazione (cf. 9,28-36: solo Luca vi usa al v. 31 il termine exodos, che contiene odós, strada), che precede di poco la grande “sezione lucana” del viaggio di Gesù a Gerusalemme (cf. 9,51–18,43).
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